Il 17 novembre 1878 Umberto I, da poco salito al trono, si trovava a Napoli, nell’ambito di un tour delle principali città italiane, in cui voleva presentarsi al popolo.
Tra la folla, poco festosa e assai supplicante vista la condizione in cui versava, c’era Giovanni Passannante. Trentenne anarchico che al momento opportuno tirò fuori un coltello che nascondeva dentro uno straccio e assalì il sovrano. Umberto fu colpito di striscio, la regina lanciò contro l’attentatore un mazzo di fiori, e il presidente del consiglio Cairoli tentò di fermarlo prendendosi una pugnalata alla gamba. L’intervento dei corazzieri bloccò Passannante, che fu colpito alla testa da un fendente del capitano De Giovannini.
La galera fu peggiore della morte.
Portato nella prigione della Torre della Linguella fu chiuso in una cella minuscola, buia e umida, legato ad una catena di diciotto chili che gli impediva quasi di muoversi. Per dieci anni visse in queste condizioni. Subì torture durissime, fu costantemente denutrito. La sua salute peggiorò anno dopo anno. Ancora oggi il suo fascicolo carcerario, conservato a Perugia, non è consultabile al pubblico. Dopo una decade, in cui numerosissime furono le proteste per la sua condizione, fu trasferito in un manicomio criminale.
Morì il 14 febbraio del 1910 dopo trentadue anni di detenzione.
La sua testa fu decapitata e il suo corpo violato.
Solo nel 2007 i suoi resti torneranno nel suo paese di origine, Salvia di Lucania, che il re aveva ribattezzato dopo l’attentato Savoia di Lucania.
Re che però era morto dieci anni prima di Passannante per mano di Gaetano Bresci.