Più il nostro quoziente intellettivo è alto e meno crediamo in Dio: gli atei sono più intelligenti dei credenti

Più il nostro quoziente intellettivo è alto e meno crediamo in Dio: gli atei sono più intelligenti dei credenti

Fonte: medicinaonline.co

Sta facendo enormemente discutere, e non poteva essere altrimenti, lo studio del dipartimento di analisi dell’Università di Rochester di New York pubblicato sul sito del noto quotidiano The Independent e dedicato alla relazione tra il cervello umano e l’esistenza di Dio. I risultati dello studio infatti dicono che gli atei sono più intelligenti di chi ha una qualche fede religiosa.

Molti studi sembrano confermarlo

La ricerca del team dello stimato professor Miron Zuckerman, si è avvalsa – tra gli altri – di tre psicologi che hanno condiviso la definizione di intelligenza come capacità di:

  • ragionare;
  • pianificare;
  • risolvere i problemi;
  • pensare astrattamente;
  • comprendere idee complesse;
  • imparare in fretta;
  • imparare dall’esperienza.

La ricerca ha comparato più di 63 precedenti studi sul tema, in quella che viene chiamata “meta-analisi” cioè un potente strumento di ricerca matematico-statistico il cui scopo è quello di riassumere i dati provenienti da diversi altri strumenti di ricerca, molto usato anche in campo medico. L’obiettivo di questa integrazione è ottenere un unico indice quantitativo di stima che permetta di trarre conclusioni più forti di quelle tratte sulla base di ogni singolo studio. Ebbene su 63 studi Miron Zuckerman ed il suo team di ricercatori ha verificato che ben 53 giungono alla medesima conclusione, e cioè che le persone più sono religiose e meno sono intelligenti.

Lo studio che mette insieme tanti studi

Pubblicato sulla prestigiosa “Personality and Social Psychology Review“, lo studio del professor Zuckerman prende in esame molte ricerche effettuate negli ultimi 90 anni, in molte università del mondo, su migliaia e migliaia di “cavie”. La più “antica” iniziò nel 1921 per proseguire per anni su 1.500 persone che da piccole avevano un quoziente intellettivo superiore a 135, bambini superdotati insomma: questi bambini, seguiti poi per decenni fino alla vecchiaia, avevano mostrato un più basso – molto più basso – livello di credenza religiosa. Le analisi comparate, di cui appunto solo 10 su 63 dicono che il credente è più intelligente dell’ateo, hanno fatto desumere all’equipe dell’Università di Rochester che è più probabile che i bambini più intelligenti si allontanino dalla religione.

Ma è davvero così?

Ovviamente questa affermazione non implica il fatto che un credente NON possa essere intelligente e la prova è la lunga lista di geni in vari campi dello scibile umano, che credono o hanno creduto in una religione. Inoltre il vero nucleo di questo studio potrebbe indicare qualcosa di lievemente diverso e cioè che chi è poco intelligente tende ad uniformare la propria opinione a quella comune, a conformarsi alle convenzioni sociali, quindi fra i credenti vengono conteggiati tutti i poco intelligenti che credono in Dio solo perché lo fanno tutti gli altri. Seguendo questo ragionamento, paradossalmente se fossimo in una società in maggioranza atea lo studio forse ci direbbe che mediamente gli atei sono meno intelligenti dei credenti. In pratica il risultato dello studio non implica che chi crede in Dio sia automaticamente poco intelligente ma solo che chi è intelligente tende più facilmente crescendo a staccarsi dalle convenzioni sociali e farsi un’idea propria. Bisogna infine considerare che avere una grande intelligenza non implica necessariamente una consapevolezza sul tema e molti “geni” potrebbero essere diventati atei solo per rifiuto verso le convenzioni sociali e non a seguito di una reale e profonda riflessione.

Non accontentarsi di un dogma “fantasy”

Da qui in poi farò una serie di considerazioni personali, scaturite dal risultato di questa meta-analisi. Quando due esseri umani si pongono la domanda “da dove veniamo?” lo scienziato si sforza di elaborare delle tesi, come per esempio quella del Big Bang, e successivamente cerca con fatica delle prove a sostegno di una data ipotesi piuttosto che un’altra. Quando alla fine la tesi del Big Bang sarà quella più probabile MA NON LA TESI “CERTA” lo scienziato ammetterà umilmente di non avere la “Verità” in tasca, ma solo delle teorie che si prestano alla smentita da parte di successivi scienziati che si impegneranno con fatica in nuove e più complesse ricerche. Invece il credente si “accontenterà” di sapere di Adamo ed Eva, cioè una storia oggettivamente di fantasia (e che presume anche una serie di incesti), preconfezionata, ipse dixit, senza mettere in discussione questa “Verità”. Molto comodo, poco umile, perché presume di conoscere la risposta a domande a cui in realtà nessuno – neanche “l’infallibile” papa – può dare spiegazione certa. Mentre lo scienziato arriverà a dire: non so per certo come questo fenomeno sia avvenuto e continuerò per sempre a cercare di capirne il perché, il credente si accontenta invece di una storia “fantasy” che fornisce tutte le risposte necessarie, ma esse appaiono palesemente grottesche ed inventate, tra angeli volanti, soli che si fermano nel cielo, arche improbabili, maschilismi inaccettabili e diavoli con zoccoli e forconi, insomma cose a cui potrebbe credere solo uno schizofrenico, ritenute accettabili solo perché ce le hanno ripetute ed inculcate fin da bambini, come amava ripetere Bertrand Russel, a partire dalla violenza del pedobattesimo in poi.
La ricerca citata nell’articolo NON DICE che I CREDENTI NON SIANO INTELLIGENTI,  semmai asserisce che è più probabile che una persona atea sia intellettivamente più capace di una credente esattamente come è più facile che chi si sia messo a cercare i motivi fisici dell’esistenza dei fulmini sia stato intellettivamente più capace (o almeno più curioso, concedetemelo) rispetto a chi credeva che i fulmini fosse Zeus a mandarli sulla terra perché era adirato. Ah, a proposito: c’è qualche credente all’ascolto che mi sa dire che differenza c’è tra Dio e Zeus? E non datemi la solita risposta, che “Dio esiste mentre Zeus non esiste“, perché a quel punto io potrei chiedervi, come fate sempre voi, di dimostrarmi la NON esistenza di Zeus e siccome non si può dimostrare la NON esistenza di nulla a questo mondo, non vorrei lasciarvi in tilt logico per alcune ore.

Umili dubbi

Quello che penso è che la scienza si fa delle domande e prova a darsi delle risposte con fatica ed umiltà, ricercando tramite esperimenti, mettendo sempre in dubbio con nuove scoperte la “verità” scoperta dagli scienziati precedenti. Amo pensare che il bello della conoscenza sia quello di colmare la nostra mente seminandovi dei dubbi, non  riempendola di certezze, anche perché le certezze non appartengono alla nostra piccola esistenza e – probabilmente mai le avremo, anche continuando a cercarle per sempre. Questa è la bellezza della scienza: inseguire domande ed usare il cervello per trovare risposte, in una continua lotta contro il dogma preconfezionato, contro una arcaica verità maschilista, storicamente imposta con la politica, la forza, la violenza della (ben poco “santa”) inquisizione, le guerre ed il sangue di “streghe” ed “eretici”, contro ogni schema applicato da altri, partendo dal basso, dalla concezione di essere piccoli insiemi di molecole pensanti dispersi su un insignificante granello di polvere che galleggia nell’oscuro universo e non certo le creature più importanti di esso, le predilette di un Dio invisibile, che ha ben poche differenze con il fantasioso Zeus o Sauron de “Il signore degli anelli”. La scienza non si piega a facili risposte disegnate per colmare la paura della morte e dell’inutilità delle nostre esistenze, risposte create con l’unico scopo di istituire un potere economico e politico basato sull’ignoranza e su una manipolazione che tanto somiglia alla circonvenzione di un incapace, magari disperato per una malattia terminale e quindi facilmente plagiabile. Senza aspettare qualcosa dopo la morte, ma vivendo pienamente la propria vita consci del fatto che – probabilmente – sarà l’unica a disposizione. Vivendo in armonia con gli altri perché lo sentiamo dentro di noi e non per paura di un improbabile inferno che ci aspetta.

Il punto di domanda

Umiltà, curiosità ed apertura mentale ci hanno permesso di avanzare nel progresso scientifico ed aumentare la nostra aspettativa di vita da 30 a 80 anni: se Albert Bruce Sabin, anziché inventare il celebre vaccino che ha salvato la vita a milioni di bambini, avesse passato la vita a pregare, quei bambini ora sarebbero morti, tra l’altro in teoria per volontà di quello stesso Dio che il credente ringrazia quando “salva la vita” ma non incolpa mai quando “fa ammalare”, con la tipica coerenza che lo contraddistingue. Ed è sempre “grazie a Dio” e mai grazie al chirurgo che ha passato magari 40 anni di vita a studiare per togliere a vostro figlio quel tumore. Ma a questo punto quando state male, andate in chiesa e non al Pronto Soccorso: una bella preghiera ed il vostro cancro al colon sparirà! E, rimanendo in tema, come fate a non capire che sarebbe molto più utile passare un’ora a fare volontariato, piuttosto che passare la stessa ora in chiesa a sonnecchiare e far finta di ascoltare racconti ridicoli su Farisei e Samaritani, scritti migliaia di anni fa?
La scienza ci ha fatto progredire anche perché chiunque può farne parte: se arrivasse un bambino di 11 anni e riuscisse a dimostrare scientificamente che Einstein si sbagliava, la scienza accetterebbe la nuova tesi senza alcun timore reverenziale. La ricerca sfida l’autorità, non si mette all’ombra di un albero a cullarsi comodamente sulla verità provata o detta da altri 2000 anni prima, altrimenti la terra sarebbe ancora piatta ed al centro dell’universo. La religione invece non si pone domande ma accetta dei dogmi – oggettivamente irrazionali e usciti da un racconto fantasy – per fede, dando alle persone una “Verità” arbitraria che non può essere messa in discussione, MAI, altrimenti qualche anno fa si finiva per esser torturati ed uccisi, mentre oggi si finisce per essere ostracizzati dalla società e dal mondo del lavoro. La ricerca è un fiume in piena inarrestabile che spinge l’uomo a nuotare ingegnandosi, la religione è un rassicurante lago fermo li da migliaia di anni, con mezzo metro di profondità, che addomestica l’uomo cullandolo in una ciambella di menzogne ed allontanando dalla sua mente la paura delle malattie e della morte: l’unico prezzo da pagare per galleggiare nelle placide acque tiepide della piacevole ignoranza, è la propria intelligenza ed in molti lo pagano volentieri, specie nell’Italia prima per  analfabetismo funzionale.

La parola di Dio è un punto esclamativo che ci lascia fermi sulla linea di arrivo. La scienza è un punto di domanda che rimette tutti sulla linea di partenza.
Non so come la pensiate voi, ma io preferisco i punti di domanda.

Fonte:

https://medicinaonline.co/2013/08/15/piu-il-nostro-quoziente-intellettivo-e-alto-e-meno-crediamo-in-dio-gli-atei-sono-piu-intelligenti-dei-credenti/

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