Tutti pazzi per Donald Trump, incarna il sogno americano. E infatti eccolo il sogno americano: un essere che non ha idea di cosa sia la moralità, guerrafondaio, razzista, omofobo, xenofobo e sessista!

Tutti pazzi per Donald Trump, incarna il sogno americano. E infatti eccolo il sogno americano: un essere che non ha idea di cosa sia la moralità, guerrafondaio, razzista, omofobo, xenofobo e sessista!

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Tutti pazzi per Donald Trump Incarna il sogno americano

Il rivale di Hillary Clinton

 

Vista dalla California l’idea che ci siamo fatti in Italia di Trump è in realtà molto diversa. Gli americani amano riferirsi per esteso al loro possibile futuro presidente, e sul palco dei «rally» è di una voce fuori campo l’onore di annunciarlo: «Ladies and gentlemen, Mister Donald J. Trump!» Si scatena il delirio.

Se sei lì, in quel momento il cuore ti batte forte. Saranno le luci, la gente, sarà l’entusiasmo, o l’illusione della Casa Bianca, ma ti senti davvero al centro dell’universo. Sei a pochissima distanza dall’uomo che, se verrà eletto, deciderà le sorti del mondo. Di questo si tratta. A lui, il candidato, che dietro le quinte è una persona completamente diversa da quella che appare in pubblico, semplice e tranquillo, voce addirittura bassa e quasi timida, più propenso ad ascoltare i suoi interlocutori che a pavoneggiarsi, basta prendere il microfono per trasformarsi in un leone (la criniera ce l’ha). È lui stesso a far partire i cori che buttano giù i palazzetti dove si tengono gli eventi.

Come è stato lui in persona a inventarsi gli slogan più efficaci di questa campagna elettorale e, cosa che fa impazzire i supporters, i nomignoli per i suoi avversari. Così il suo ex rivale Ted Cruz, sconfitto già da tempo, era per tutti «il bugiardo Ted», Hillary Clinton è la «corrotta Hillary» e la governatrice del New Mexico, obiettivo preferito degli ultimi giorni, è ormai nota come «Pocahontas».

Di Trump in persona anche la volontà di rispondere colpo su colpo, e di petto, a qualsiasi critica gli venga rivolta, così da spegnere subito gli incendi. E se sorge qualche incomprensione o invidia fra i membri dello staff, cosa frequente negli ambienti politici di tutti i livelli, figurarsi quando c’è in gioco la Casa Bianca, è lui che va a risolverla. «Hai avuto problemi con il mio team di New York?», chiedeva mercoledì in Orange County al responsabile della campagna della California, «perché se hai problemi devi dirmelo». Chissà se sapeva che se fosse stato per il team di New York, l’evento a cui stava partecipando sarebbe stato cancellato all’ultimo momento, pur di far fare una figuraccia a chi lo aveva organizzato. Probabilmente ne era al corrente, altrimenti non si spiegherebbe quella domanda così mirata. Né quella successiva: «C’è l’inno per quando entro sul palco?» Oddio, l’inno! Certo che era previsto, ma New York aveva fatto cancellare anche quello. E guarda caso Mister Trump l’ha chiesto. La fortuna aiuta gli audaci e per miracolo tra le cento donne che lo avevano incontrato in una saletta riservata prima del «rally» c’era una cantante lirica. Che, sempre per fortuna, ha avuto la forza d’animo di salire sul palco insieme al candidato presidente e cantare senza musica, senza testo, senza preparazione davanti a seimila persone. «Ti senti di farlo?» le ha chiesto Trump quando le altre novantanove l’hanno indicata come quella che poteva sciogliere il gelo che per un secondo si era creato, e lei è partita. D’altronde in quella stanzetta c’era proprio una bella atmosfera, come nel salone delle feste di casa di un’amica durante un cocktail. Trump era entrato da solo, senza staff, solo servizi di sicurezza rimasti sulla porta, ciondolante come un ragazzo che passeggia nel parco dell’università in un pomeriggio di sole dopo aver preso un bel voto a un esame. Se ti eri distratta per un minuto capivi che era lui, solo perché si sono tutte alzate di scatto e gli si sono buttate addosso. Convergevano verso un unico punto e non poteva che essere il candidato. Gli era stato preparato un podio con un microfono da cui parlare e cento ordinatissime sedie di fronte per le donne ad ascoltarlo. Ma al podio neanche ci è arrivato. E le sedie sono volate via. Lo hanno circondato appena l’hanno visto e non hanno fatto dire neanche una parola al povero Donald.

Ha preso la parola solo alla fine per dire che sul palco le avrebbe ringraziate tutte e che d’ora in poi vuole che il format «incontro privato prima-incontro pubblico dopo» venga replicato in tutti i posti in cui va. Disastro per il team di New York: quest’idea è nata in California e non volevano assolutamente che prendesse piede. Invece è risultata vincente.

Così come New York non voleva che le donne salissero con Trump sul palco durante il “rally” e restassero dietro di lui mentre parlava. I poveri californiani, stremati per i mille immotivati cambi di programma, la sera prima si erano pure adeguati. Ma poi è stato il candidato stesso a chiamarle su. Alla fine è solo lui che decide, inutile fare giochetti alle spalle.

È in campagna da quasi un anno, Trump, con uno-due grandi eventi al giorno, e nonostante tutte le beghe è sempre fresco come una rosa e rilassato: trasmette serenità a chi gli sta intorno, nessuna ansia da performance, mai momenti di tensione o nervosismo. Eppure passaggi difficili ce ne sono stati e ce ne saranno, dalle piccole alle grandi cose.

Mister Trump li affronta con leggerezza. Questo spirito si nota subito quando lo si incontra. Un uomo alla mano, che ispira fiducia. E che alla fine di ogni «rally» scende tra la folla ad autografare cappellini, magliette, libri, cartelli bianchi, rossi, blu che inneggiano al suo nome.

Super protetto dai servizi di sicurezza, ma senza che questo impedisca alla gente di stare a pochi centimetri di distanza da lui e di fargli un grande in bocca al lupo. È talmente umano che, quando se lo trova di fronte, anche il più povero degli americani si sente Donald Trump. È lui il sogno americano.

Paola Tommasi

tratto da: http://www.iltempo.it/esteri/2016/05/28/tutti-pazzi-per-donald-trump-incarna-il-sogno-americano-1.1544193

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