Settantesimo anniversario del voto alle donne: il significato di una conquista storica
Dire alle mie figlie che quando la loro nonna è nata le donne non potevano votare mi fa sempre una certa impressione. Nella classifica mondiale dei paesi che per primi approvarono il suffragio femminile, in testa c’è la Nuova Zelanda, 1893, poi l’Australia e i paesi scandinavi, la Russia (con la Rivoluzione d’Ottobre), la Gran Bretagna e la Germania dopo la prima guerra mondiale e gli Stati Uniti nel 1920. In Italia le donne furono considerate cittadine al pari degli uomini solo alla fine dell’ultima guerra, il 10 marzo di settant’anni fa.
La conquista dei diritti politici non fu, come spesso si dice e si legge, una progressiva concessione o un’estensione dei principi liberali e democratici, ma il risultato di una lunga e dura battaglia. La rivendicazione dell’accesso alla sfera pubblica – che fin da Aristotele era stata costruita e definita sulla base dell’espulsione delle donne – provocò una tenacissima resistenza per uno specifico motivo: l’esclusione delle donne dalla vita pubblica era legata al loro assoggettamento nella sfera privata. Per questo il diritto di voto fu negato alle donne per più di un secolo e mezzo. E per questo la loro battaglia per quello specifico diritto andò ben al di là di esso.
La storia di questa battaglia inizia con un paradosso: Francia, 1789, rivoluzione. Le donne borghesi e le donne del popolo partecipano alla presa della Bastiglia, protestano, muoiono. E parlano. A teatro Olympe de Gouges mette in scena gli eventi rivoluzionari contemporanei e nel 1791 propone di rendere universali i diritti proclamati all’Assemblea nazionale estendendoli anche alle donne («Uomo, sei capace di essere giusto? È una donna che ti pone la domanda»). Nel 1793 finisce sulla ghigliottina. Nel momento fondativo dei sistemi rappresentativi moderni fu immediatamente chiaro che l’universalismo in base al quale erano stati dichiarati i diritti non era affatto universale, ma riguardava solo gli uomini. Il nuovo mondo aveva qualcosa in comune con il vecchio: il mantenimento di quella situazione di privilegio che i rivoluzionari volevano cambiare.
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