Le droghe ci rendono più creativi?

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​Da Lou Reed con l’eroina a Bob Marley con la marijuana, da Hunter S Thompson (e Aldous Huxley) con la mescalina a Sigmund Freud con la cocaina, dal fisico Richard Feynman con la ketamina al chimico Kary Mullis con l’LSD. Moltissimi artisti, autori, scienziati e — in mancanza di parole migliori — geni dello scorso secolo sono ricordati tanto per i loro lavori e le loro opere, quanto per il loro uso di droghe. Molti di loro sostengono che è proprio grazie alle droghe che sono riusciti a fare quello che hanno fatto e alcuni sono addirittura diventati sostenitori loro valore pratico delle droghe oltre che in quello ricreativo.

L’idea è che le droghe possano aiutare a stimolare la creatività, e bisogna dire che la produzione di questi geni e numerosi resoconti diretti sembrano confermare questa teoria. Mullis, premio Nobel nel 1993 per la chimica, ad esempio ha detto in una famosa intervista che non è sicuro avrebbe scoperto la tecnica della “reazione a catena della polimerasi” se non fosse stato per l’LSD e che la sua esperienza con la droga è «stata più importante di qualsiasi corso abbia mai seguito».

Nella nostra società la creatività — secondo una famosa definizione del matematico Henri Poincaré la «capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove, che siano utili» — è più importante che mai. C’è bisogno di creatività per creare nuovi prodotti e servizi di enorme successo come Uber o Airbnb, i cui creatori hanno saputo vedere opportunità dove nessun altro le aveva viste e sfruttarle al meglio, e c’è bisogno di creatività per affrontare e risolvere i problemi sempre nuovi e sempre più complessi che ci troviamo davanti ogni giorno: dal riscaldamento globale a come combattere malattie come ebola o l’HIV.

Quindi la domanda dovrebbe essere d’obbligo: le droghe hanno un legame con la creatività? Assumere droghe può davvero aiutare a diventare più creativi? Perché — se come sembrano suggerire questi artisti e scienziati — la risposta è sì, dovremmo seriamente considerare l’ipotesi di studiarle, capirle e usarle, queste droghe.

La verità, purtroppo, è che a partire dagli anni Sessanta, con l’arrivo del movimento degli hippy e della controcultura, molte nazioni intensificarono il loro impegno nel combattere droghe di vario tipo, dai cannabinoidi a quelle allucinogene. I primi esperimenti scientifici su queste sostanze furono fermati sul nascere e da allora sono stati fatti pochi passi avanti nel capire l’effetto delle droghe sulla creatività.

Paul McCartney ha detto che «è facile sovrastimare l’impatto della droghe sulla musica dei Beatles»
La prima cosa da capire, però, è che la creatività è un processo e non — come vuole la retorica — un istante di assoluta intuizione. Il classico momento eureka è un evento raro e comunque il punto finale di un percorso fatto di piccole e grandi invenzioni e informazioni che si combinano insieme. Anche immaginando che Lennon e McCartney abbiano scritto Lucy in the sky with diamonds sotto effetto di LSD come vuole la leggenda, insomma, la canzone non sarebbe uscita dalle loro teste già formata e completa dopo un trip. Se l’LSD ha giocato un ruolo nella creazione della canzone, l’ha fatto in un punto del processo, magari stimolandolo. Ma sicuramente non è l’unico motore della creatività dei Beatles. Paul McCartney ha detto nel 2004 che le droghe hanno influenzato la produzione dei Beatles di quel periodo ma che è «facile sovrastimare l’impatto che hanno avuto sulla [nostra] musica».

Ma la domanda rimane: le droghe possono aiutare o stimolare la creatività? Ci sono solo una manciata di studi sull’argomento e nessuna ricerca è ancora conclusiva ma la risposta sembra essere: dipende dalla droga.

La domanda rimane: le droghe possono aiutare o stimolare la creatività?
Secondo uno studio del 2014 realizzato dalla università olandese di Leida, «l’aumento di creatività che gli utilizzatori di marijuana credono di avere è solo un’illusione». La ricercatrice italiana Lorenza Colzato che ha guidato lo studio dice che «per superare un blocco dello scrittore o qualsiasi altro problema creativo, accendersi una canna non è la migliore soluzione. Fumare alcune canne una dopo l’altra può essere persino controproduttivo per il pensiero creativo».

Lo studio ha reclutato 54 fumatori abituali di marijuana e li ha divisi in tre diversi gruppi, due gruppi sono stati testati con marijuana a diverso contenuto di THC (il più noto principio attivo della cannabis) mentre al terzo è stato dato solo un placebo.

I due gruppi sono poi stati sottoposti a due semplici test di abilità cognitive, uno sul pensiero divergente (semplificando, la capacità di trovare un gran numero di soluzioni possibili a un problema) e uno sul pensiero convergente (anche qui, semplificando, la capacità di trovare l’unica risposta giusta ad un problema). I risultati? Il gruppo con il dosaggio più alto di THC ha dimostrato una capacità più bassa rispetto agli altri di produrre le risposte ai test. Il gruppo a dosaggio più basso e quello a cui è stato dato solo un placebo, non hanno dimostrato differenze sostanziali in termini di capacità di risolvere i test. «Contrariamente alle aspettative, una piccola quantità di cannabis non ha aumentato le capacità di pensiero divergente in fumatori abituali di marijuana», conclude lo studio.

Contrariamente alle aspettative, una piccola quantità di cannabis non ha aumentato le capacità di pensiero divergente
Con le droghe psichedeliche, il discorso però è diverso. In uno studio del 2014, pubblicato sulla rivista Human Brain Mapping, dei ricercatori dell’Imperial College London hanno iniettato 15 volontari con psilocibina, una triptamina psichedelica presente in alcuni funghi allucinogeni e con effetti simili alla sostanza contenuta nell’LSD. I volontari avevano tutti già provato droghe psichedeliche almeno una volta — per evitare che andassero in panico di fronte alle allucinazioni — e sono stati messi in una macchina per risonanza magnetica. I risultati dello studio mostrano che queste droghe aumentano la comunicazione tra aree diverse del cervello, portandoci a fare esperienza del mondo con un senso di novità. «Le persone iniziano a vedere il mondo quasi con lo sguardo di un bambino», dice il co-autore dello studio Carhart-Harris. Ora, questo vuol dire che la psilocibina stimola la creatività? Ancora non è chiaro, ma il team sta portando avanti un altro studio in cui ai partecipanti è chiesto di completare un famoso test per la creatività, il Torrance Tests of Creative Thinking, e — scrive Fast Company — i risultati preliminari suggeriscono che i partecipanti dimostrano maggiori capacità di pensiero divergente quando sotto effetto della droga.

Uno studio simile è stato realizzato nel 1966, poco prima che la lotta alle droghe negli Stati Uniti entrasse a pieno regime, da Willis Harman, Robert H. McKim, Robert E. Mogar, James Fadiman e Myron Stolaroff. L’idea era di verificare l’impatto dell’uso di droghe psichedeliche sulla risoluzione di problemi. L’esperimento non è mai stato ripetuto né verificato ed è stato bloccato prima della conclusione per la messa al bando da parte della Food and Drug Administration statunitense del test di droghe su persone, ma i risultati sono comunque interessanti. Lo studio è basato su 27 uomini da una varietà di professioni diverse, a cui è stato chiesto presentare un problema professionale a cui avevano lavorato per almeno 3 mesi e che erano desiderosi di risolvere. Dopo alcune sessioni d’incontro con gli altri partecipanti e alcuni test, ai soggetti è stata data una piccola dose di mescalina, una sostanza allucinogena, e dopo alcune ore di rilassamento gli è stato chiesto di lavorare per alcune ore al loro problema. Nelle settimane successive i partecipanti sono stati testati di nuovo e gli è stato chiesto di raccontare la loro esperienza soggettiva e i risultati del loro lavoro in seguito all’uso della mescalina. Molti di loro hanno riportato che la droga ha ridotto il loro senso di inibizione e di ansia nei confronti del problema, aumentato la capacità di inserire il problema in un contesto più ampio e aumentato la capacità di concentrarsi (il libro di Fadiman, The Psychedelic Explorer’s Guide: Safe, Therapeutic, and Sacred Journeys riporta molte citazioni dirette dei partecipanti). E in alcuni casi, i soggetti sono anche arrivati a risolvere il loro problema.

Stabilire se sia stato unicamente l’uso della mescalina a permettere ai soggetti dello studio di risolvere il loro problema o se ci sarebbero arrivati anche senza la droga è difficilissimo, e altrettanto difficile è valutare il vero impatto dell’uso della droga solamente su resoconti soggettivi dell’esperienza dell’uso. Ma se anche solo pochissimi dei risultati di questa ricerca fossero veri dovremmo sicuramente farci delle domande sulle possibilità ancora inesplorate delle droghe psichedeliche sulla creatività: sperimentando in modo scientifico, testando e cercando di capire se c’è un modo di sfruttarne gli effetti positivi e neutralizzandone i — tanti — negativi.

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