”IL COLPO DEL SECOLO E’ SERVITO” LA STORIA CHE HA FATTO IL GIRO DEL MONDO

 

Ai dipendenti della Société Générale di Nizza, filiale di avenue Jean Médecin, ci vorrà ben poco per capire che quel lunedì 19 luglio 1976 non sarà un giorno come un altro. Anzi, diventerà una data storica per la banca, così come per la cronaca delle imprese criminali di tutti i tempi.

Alle 8.30, infatti, un impiegato cerca di aprire la porta blindata che dà accesso al caveau, ma nel meccanismo qualcosa sembra inceppato. I clienti che intendono accedere alle proprie cassette di sicurezza vengono invitati a ritornare più tardi e il «mezzemaniche» corre ad avvisare il direttore della banca, Jacques Guenet. La porta in acciaio, spessa 90 centimetri e pesante venti tonnellate, non si apre. Viene chiamato un fabbro, ma il responso è poco confortante. L’accesso è impedito da qualcosa che blocca la porta dall’interno. Accorrono anche i tecnici della ditta Fichet-Bauche, che ha costruito la porta blindata, ma neppure loro riescono a far funzionare il meccanismo di apertura.

Guenet comincia a sentire puzza di bruciato. Dà ordine di perforare il muro che separa la stanza dal sotterraneo blindato, ma ci vogliono più di quattro ore per sfondare la possente parete. E quando l’impiegato più smilzo della compagnia riesce a infilarsi nel buco di appena 20 centimetri di diametro, il suo grido gela il sangue del direttore e degli altri funzionari della Société: «Ci hanno derubato!».

Quando finalmente riescono a penetrare nello stanzone del caveau, la scena che si presenta agli occhi del direttore e degli esterrefatti impiegati è sconvolgente. Sembra che sia appena passato un tornado. Centinaia di cassette di sicurezza sono state forzate e aperte e il loro contenuto è sparso per l’intero stanzone, come immondizia abbandonata in una discarica. Sul pavimento c’è di tutto: documenti riservati, testamenti, assegni, lettere compromettenti, titoli azionari, gioielli, banconote dimenticate dai ladri. E sul muro, appiccicate ad arte per formare un osceno collage, decine di foto p***ografiche del genere amateur che farebbero la fortuna dei giornali scandalistici, visto che fra i protagonisti delle evoluzioni erotiche non mancano noti e stimati professionisti cittadini e signore dell’alta società della Costa Azzurra.

Ma gli scassinatori non si sono limitati a buttare tutto all’aria e a provocare i funzionari della banca tappezzando la parete di immagini p***o. In segno di scherno (e anche per evidenti ragioni di tipo logistico, come si scoprirà in seguito) hanno lasciato un po’ ovunque tracce di escrementi e bottiglie d’acqua riempite di orina. Un ladro più burlone degli altri ha persino scelto come gabinetto una grossa zuppiera d’argento, tirata fuori da una cassetta di sicurezza appena scassinata ma a quanto pare non abbastanza preziosa per finire con gli altri oggetti trafugati. Monsieur Guenet la osserva attonito, piena di m***a fino all’orlo.

Tutt’intorno i rimasugli di un improvvisato pic-nic, segno che la banda è rimasta all’interno dei sotterranei della Société Générale per molte ore, forse per giorni. Resti di formaggio, scatole di biscotti, latte vuote di lenticchie, bottiglie di vino, la carta oleata di un salumiere, mozziconi di sigarette. Tutti oggetti che la polizia scientifica si premura di raccogliere e catalogare con cura, nella speranza di trovare indizi utili per le indagini. Impronte digitali, soprattutto. Nel 1976 le indagini genetiche sul Dna sono ancora confinate ai sogni dei ricercatori universitari che aspirano al Nobel e nessun investigatore, in Francia come negli Stati Uniti, avrebbe neanche potuto immaginare di riuscire un giorno a incastrare un criminale partendo da reperti biologici come la saliva, il sudore, l’orina o gli escrementi.

A parte ciò, i poliziotti scopriranno ben presto che i ladri penetrati nel caveau non sono affatto degli sprovveduti: indossavano guanti e per precauzione hanno orinato e defecato in più persone negli stessi contenitori, così da mischiare le loro tracce biologiche. Non per paura dell’esame del Dna, come dicevamo, ma perché prudentemente qualcuno ha spiegato loro che dall’analisi chimica delle orine gli sbirri sono in grado di risalire a eventuali farmaci assunti dal soggetto. E quindi si rischia di lasciare dietro di sé una sia pur vaga traccia a favore degli inquirenti.

Dall’altra parte del caveau rispetto alla porta d’ingresso, gli agenti scoprono subito il buco nel muro che i ladri hanno utilizzato per penetrare nei munitissimi sotterranei della banca. Sfondarlo dev’essere stata un’impresa ciclopica, giacché la parete è composta da più strati di pietra e cemento e ha uno spessore complessivo di un metro e 80 centimetri. Eppure i malviventi sono passati di lì e il pertugio attraverso il quale sono entrati nei locali della Société Générale conduce niente meno che alle fogne di Nizza. È in quel preciso momento che nasce la mitologia della Gang des égouts, la «banda delle fogne», soprannome che a partire dal giorno successivo occuperà le prime pagine di tutti i quotidiani di Francia.

Vincendo la ripugnanza e un po’ di comprensibile timore, alcuni poliziotti attraversano il buco e seguono le tracce degli scassinatori verso le cloache nizzarde, dapprima avanzando a fatica nella piccola galleria di circa otto metri di lunghezza, alta un metro e trenta e larga appena ottanta centimetri, scavata dalla banda nel diaframma di pietre e terra; e poi avventurandosi per circa tre chilometri lungo i canali di scolo e le arcate che fanno parte della vecchia rete fognaria di Nizza.

Dopo un’allucinante e faticosa camminata fra colonie di topi, detriti, liquami e schifezze d’ogni genere, gli agenti sbucano fuori nella parte nord della città: in quel punto il fiumiciattolo Paillon, che scorre sotto il centro urbano sino a raggiungere il mare, è stato artificialmente interrato e interseca alcune grandi arterie fognarie. La «banda delle fogne» è passata da lì. Forse è scappata a bordo di alcuni canotti, e con un grosso fuoristrada di cui si scorgono le tracce degli pneumatici lungo le rive del corso d’acqua. Una cosa è certa: i malviventi se la sono filata molte ore prima.

Come sempre accade in questi casi, è difficile stabilire con certezza l’entità dei valori rubati: la stessa banca non possiede un elenco preciso degli oggetti contenuti nelle cassette di sicurezza dei clienti e in sede di denuncia spesso c’è chi fa il furbo per truffare l’assicurazione. Di contro, però, c’è anche chi custodisce in cassaforte denaro o preziosi di dubbia provenienza: fondi neri, oggetti rubati, proventi di tangenti. In tal caso la vittima del furto non può neppure rivalersi sull’istituto di credito; anzi gli conviene star zitto e far finta di niente per evitare guai giudiziari. Tuttavia, a distanza di molti anni, verrà poi stimato che il bottino portato via nel «colpo del secolo» ammonta a circa 50 milioni di franchi dell’epoca, vale a dire più o meno 30 milioni di euro attuali. E ciò malgrado la «banda delle fogne» abbia svuotato solo 371 cassette blindate su un totale di oltre quattromila.

Intanto, mentre gli agenti inseguono le tracce degli scassinatori lungo le fognature, nel caveau della filiale di avenue Médecin il direttore Jacques Guenet e gli investigatori incaricati delle indagini osservano sconcertati un cartellone pubblicitario della stessa Société Générale, posto proprio di fronte alla porta d’accesso che i ladri hanno sbarrato con un immenso armadio blindato. Lì sopra una mano ignota ha vergato una frase destinata a diventare famosa: Sans haine, sans violence et sans arme. Senza odio, senza violenza e senza armi. Il direttore e i poliziotti non lo sanno ancora, ma è la firma inconfondibile di Albert Spaggiari.


fonte: ilgiornale.it

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